Disuguaglianze, guerre e fame: le ricette della società civile per il G7 italiano
A colloquio con Valeria Emmi, sherpa del Civil7, coalizione di oltre 700 organizzazioni provenienti da circa 70 Paesi. Per il mondo non governativo l’unica via per uscire dalle crisi è recuperare il multilateralismo, restituendo un ruolo centrale alle Nazioni Unite.
25 gen , 2024 Gabriele Carchella
L’articolo è stato pubblicato su Lettera22
Una colomba bianca che vola verso un ramoscello d’ulivo. Alle sue spalle un pianeta con i poli invertiti: il sud sopra e il nord sotto. Il logo scelto dal Civil7 – coalizione formata da oltre 700 organizzazioni della società civile provenienti da circa 70 Paesi -, sintetizza in modo semplice ma efficace gli obiettivi del mondo non governativo in un periodo segnato dalle guerre e dalle crescenti disuguaglianze. In vista della presidenza italiana del G7, in programma quest’anno dal 13 al 15 giugno in Puglia, il Civil7 ha cominciato in questi giorni il suo lavoro per portare sul tavolo dei sette grandi le proposte della società civile nell’ostinato tentativo di rimettere al centro il dialogo e rilanciare il multilateralismo. Ne abbiamo parlato con Valeria Emmi del CESVI, organizzazione appartenente alla rete Link 2007, che ricopre il ruolo di sherpa del Civil7 2024.
Le disuguaglianze economiche e sociali sono da anni in costante aumento. Cosa si può fare per invertire davvero la rotta?
“Il tema delle disuguaglianze è per noi centrale. La vera questione è che le disuguaglianze ci sono sempre state. Quello che stiamo registrando, e che l’ultimo rapporto di Oxfam conferma, è che questo questo gap tra i pochi ricchi e la stragrande maggioranza di vulnerabili è in forte aumento. Proponiamo una visione sistemica e azioni immediate, urgenti e al tempo stesso audaci e ambiziose. Non è possibile abbattere le disuguaglianze con un’azione specifica. Bisogna farlo attraverso il combinato di più azioni mettendo al centro i diritti umani, le persone e in particolar modo i più vulnerabili. Tra queste azioni ci sono il contrasto ai cambiamenti climatici e la tutela della biodiversità, rispettando gli impegni presi alla Cop28. Bisogna inoltre garantire l’accesso universale alla salute pubblica e prevenire future pandemie con un approccio One Health, che è appunto sistemico. Occorre poi lavorare sul nesso tra sviluppo e migrazioni, facendo sì che le migrazioni diventino un elemento di forte sviluppo e partenariato tra sud globale e nord globale, e combattere le crisi alimentari trasformando i sistemi di produzione. Il tutto cercando di promuovere processi di pace, una pace ambita che va perseguita come elemento fondante per abbattere violenze e disuguaglianze”.
A proposito di pace, finora i tentativi di mediazione per porre fine alle guerre in corso in Ucraina e a Gaza sono falliti. Quali istanze porterete al G7 per favorire una soluzione diplomatica?
“Le guerre in aumento sono causa ed effetto anche delle crisi che ho menzionato: alimentare, climatica, migratoria, ecc. Più che dare indicazioni vogliamo aprire un dialogo che ci permetta di condividere la nostra esperienza radicata sui territori. Sono aumentati i bisogni umanitari legati ai conflitti e alle guerre. Questo è il primo elemento. Non a caso c’è un gruppo di lavoro specifico del Civil7 che si occupa di assistenza umanitaria e dei suoi principi, sempre nell’ottica di promuovere azioni che vadano a influire sulle cause strutturali di queste guerre. Come su tutti gli altri temi, faremo proposte precise per incidere sui futuri impegni per la pace del G7, stimolando al tempo stesso il vertice a dare impulso al processo multilaterale. Per quanto siano forum importanti, non possiamo considerare il G7 e il G20 il governo del mondo. Per invertire questo modello di sviluppo, che ha portato soltanto a disuguaglianze, occorre stimolare un processo decisionale che conduca ad accordi di pace proprio in seno a al sistema multilaterale, e quindi in seno alle Nazioni Unite, dove tutti gli stati sono rappresentati”.
Con la crescita dei Brics e le nascita di nuove alleanze internazionali il G7 sembra uno strumento ormai datato. È il momento di sostenere una nuova idea di governance?
“È indubbio che si tratti di vertici esclusivi, anche se rappresentano forze e potenze che hanno un impatto a livello globale. Per questo l’intendimento della società civile tutta, sia nel Civil7 che nel Civil20, è creare un dialogo affinché i Sette e i Venti possano fornire impulso al sistema multilaterale. La centralità di questi luoghi c’è, così come la volontà di sostanziare un dialogo. Abbiamo già ricevuto la disponibilità del governo italiano ad ascoltare le nostre istanze e a lavorare in modo congiunto per far sì che le decisioni prese siano al servizio della popolazione globale e preservino un futuro sostenibile a 360°”.
La distinzione tra pubblico e privato, anche a livello di grandi agenzie come Oms, Ema ed Efsa è sempre più opaca, con conseguenze rilevanti per le politiche globali. Come si può arginare questa tendenza?
“Bisogna partire dalla reale consapevolezza che c’è un’incidenza sempre maggiore del settore privato nelle decisioni e nelle politiche che devono restare pubbliche. Crediamo però che ci possa essere un partenariato proficuo tra pubblico e privato, che vada nella direzione di preservare e garantire i diritti umani. Detto ciò il privato non può sostituire la responsabilità di un sistema di Welfare globale che va preservato. Le risorse pubbliche vanno preservate, così come l’accesso universale ai servizi. Non possono essere le regole di tipo commerciale ed economico a determinare le politiche. Su questo la posizione della società civile è molto ferma, ma una partnership che persegua il bene comune non è negativa di per sé”.
(Nella foto Riccardo Moro, Chair C7 e Co-Portavoce per GCAP Italia-LVIA e Valeria Emmi, sherpa del Civil7 2024).