Diaspore, le comunità di origine straniera in cerca di un nuovo protagonismo

27.02.2024

Le diaspore sono un attore chiave per discutere cosa significhi fare cooperazione nei Paesi in via di sviluppo. Le comunità di origine straniera godono della prospettiva privilegiata di coloro che conoscono entrambi i contesti: l’Italia e i Paesi di provenienza e non includerle nelle realizzazione del Piano Mattei sarebbe un grave errore

Il quinto Summit Nazionale delle Diaspore si è svolto quest’anno in un clima particolarmente favorevole. L’Africa è entrata finalmente nell’agenda politica dell’Italia con il Piano Mattei, anche se i suoi contenuti sono per lo più da definire. Per discuterne, com’è noto, a fine gennaio si è svolto il vertice Italia-Africa. Un incontro che ha suscitato molta attenzione, ma che ha anche attirato le critiche delle organizzazioni della società civile e delle diaspore, non invitate e grandi assenti dell’evento. Quale occasione migliore, dunque, dell’appuntamento che riunisce i rappresentanti delle comunità straniere del nostro Paese per continuare il dialogo con il Governo? A maggior ragione se si considera che a dicembre è nato il Coordinamento Italiano delle Diaspore per la Cooperazione Internazionale, che riunisce più di 100 organizzazioni. C’erano insomma tutte le premesse per un summit capace di entrare nel vivo delle molte questioni sul tavolo. Così è stato e la discussione è stata all’altezza delle aspettative.

Alla ricerca di un ruolo attivo

Il vertice, che si è tenuto a Roma il 10 febbraio, ha confermato che le organizzazioni delle diaspore intendono diventare protagoniste della cooperazione internazionale. Lo testimonia la cospicua partecipazione, con delegati provenienti da tutta Italia, ma anche le richieste di coinvolgimento che si sono levate dagli scranni dell’Auditorium Antonianum, trasformato per un giorno in un luogo di confronto fra le comunità straniere in Italia e fra queste le istituzioni e le altre organizzazioni della società civile.

Il riconoscimento delle istituzioni

«Uno degli obiettivi della legge 125 per la cooperazione era integrare nuovi attori, come le diaspore e il settore privato. Credo che ci siamo riusciti con l’aiuto di tutti. C’è ora un coordinamento che rappresenta con legittimità le diaspore, riconosciuto anche a livello istituzionale perché oggi sono presenti al nostro summit la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Vogliamo far sì che la cooperazione internazionale diventi multistakeholder includendo anche le diaspore, un attore che già esisteva ma che ora è stato riconosciuto», ha spiegato Cleophas Adrien Dioma, membro del Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo e presidente dell’associazione Le Réseau.

Le aperture della Farnesina

Tra i rappresentanti delle istituzioni, è intervenuto il direttore generale per la cooperazione allo sviluppo della Farnesina, Stefano Gatti, che ha offerto una sponda utile al dibattito, aprendo le porte al pieno coinvolgimento delle comunità di origine straniera: «Le diaspore sono parte della società civile, ma anche del sistema Italia. Quindi, quando il Governo afferma di voler fare cooperazione internazionale col sistema Italia, fa riferimento a tutte le eccellenze della società italiana, tra cui ci siete anche voi. È evidente che le diaspore sono un attore chiave per discutere cosa significa fare cooperazione nei Paesi in via di sviluppo», ha spiegato. Gatti ha così risposto a Bertrand Honoré Mani Ndongbou, presidente del Coordinamento italiano delle diaspore per la cooperazione internazionale, che aprendo il summit ha ricordato «l’assenza delle diaspore dai vari gruppi di lavoro in seno alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e nella governance del Piano Matte».
«Senza le diaspore», ha sottolineato, «il Piano rischia di essere solo a vantaggio solo dell’Italia e questo è molto grave».

L’inclusione delle diaspore è un passaggio ineludibile anche secondo Roberto Ridolfi, presidente di Link 2007: «Le comunità di origine straniera godono della prospettiva privilegiata di coloro che conoscono entrambi i contesti: l’Italia e i Paesi di provenienza. Per questo il loro ruolo non può limitarsi alla gestione del fenomeno migratorio, ma va concepito in modo più ampio, affinché possano contribuire all’ideazione di progetti radicati sul territorio. Questa idea di partenariato operativo per creare lavoro e progresso, tra soggetti privati e istituzioni nei paesi Africani ed in Italia è il fondamento del Piano Mattei che sposa la nostra idea di cooperazione allo sviluppo sostenibile».

L’esperienza sul campo

Mentre a livello politico si tenta di sciogliere i nodi che ostacolano il pieno coinvolgimento delle diaspore, l’esperienza sul campo registra già numerosi esempi concreti di partenariati alla pari in cui l’inclusione delle organizzazioni della società civile, comprese quelle legate alle comunità di origine straniera, si è realizzata con successo. Prima di analizzarli è bene premettere che le attività di cooperazione non sono solo un esercizio di solidarietà, ma anche di cittadinanza per le organizzazioni della società civile e, a maggior ragione, per le organizzazioni delle diaspore o con background migratorio. Su questa base Sandro De Luca, in rappresentanza di Link 2007, ha ricordato alcune iniziative in corso che mirano a promuovere una maggiore consapevolezza e conoscenza delle tante piccole e grandi realtà della diaspora attive sul territorio e sulle tematiche della cooperazione, promuovendo partenariati sempre più efficaci con gli altri attori della cooperazione. È il caso del Premio Paolo Dieci, promosso da Link 2007, Cips e Le Réseau, e giunto nel 2023 alla sua seconda edizione.

In conclusione, la capacità di includere le organizzazioni della società civile, le comunità straniere in Italia e i Paesi beneficiari come soggetti attivi della cooperazione, può essere considerata una vera e propria cartina di tornasole della raggiunta maturità del nostro sistema, nonché della capacità di promuovere una vera ownership dei processi di sviluppo.

L’articolo è stato pubblicato su VITA QUI